La Grecia, o della morte del riformismo

Le ragioni che permisero il successo delle politiche redistributive nel secondo dopoguerra, che fossero gestite dalla socialdemocrazie o dai partiti popolari poco importa, sono ascrivibili alle seguenti condizioni (non esaustive):

1) Territorio limitato per una popolazione marginale sul piano mondiale, ma centrale dal punto di vista politico, economico e militare: l’Europa occidentale.

2) Enorme ripresa dei consumi interni dei beni primari, secondari e superflui.

3) Piena occupazione, o meglio, disoccupazione frizionale.

4) Stato nazionale come confine delle politiche espansive: imprenditore, accumulatore e re-distributore di ricchezze.

5) Imposizione fiscale pressoché nulla.

6) Monete nazionali forti, non soggette a grandi sbalzi negli scambi internazionali.

7) Forte espansione monetaria

8) Disponibilità dello Stato ad un progressivo e importante indebitamento pubblico come sostegno diretto ed indiretto al welfare e alla capacità di spesa dei singoli.

9) Forte sviluppo delle industrie nazionali.

10) Classe sociali strutturate a forte impatto culturale, regolativo e sociale: sindacati, partiti, associazioni e via dicendo.

11) Sviluppo inarrestabile del sistema clientelare. In alcuni stati anche di tipo mafioso.

12) Immissione di risorse finanziare esterne volte a favorire stabilità sociale, politica ed economica: piano Marshall…

13) Funzione sindacale esterna svolta dai paesi a capitalismo di stato, cioè gli stati del cosiddetto socialismo reale.

14) Cambiamento progressivo e sostanziale delle mentalità collettive, delle culture e sub-culture di appartenenza, con rotture di tipo generazionale.

15) Fiducia fideistica nelle scienze e nel progresso.

Mettiamola lì: quel mondo si è progressivamente sgretolato, a partire dall’implosione sovietica in avanti, e, da quel tempo in poi, non si è mai più ripreso. I confini del capitale, le forme del potere e dei poteri, l’immissione di una nuova schiavitù a servizio di strutture concorrenziali estreme, gestite da oligopoli economici e finanziari, la disgregazione delle appartenenze sociali e via dicendo si sono sedute al capezzale di un sistema che dapprima hanno contribuito ad affossare e poi sapientemente spremuto. In tutto ciò la nazione Greca è un paese di 11 milioni di abitanti, abbracciata dal Mar Egeo e dal Mar Ionio, costellata da più di 1500 isole e isolette e sormontata da colline e catene montuose a non finire. Spero che si capisca coso voglio dire: il sistema finanziario europeo e quello mondiale stanno ribadendo in ogni occasione quale deve essere e quale può essere il ruolo fiduciario dell’agenzia commerciale denominata formalmente “Grecia”, allocata in quella terra da alcuni millenni, tanto bella quanto ostile, ed abitata da una porzione infinitesimale della popolazione mondiale, che parla un dialetto minoritario, cioè la lingua greca.

Il governo Tsipras, nato sotto i migliori auspici di una qualche sorta di riformismo, ha bisogno di denaro, perché questi, lo ripeto banalmente, è l’unico mezzo di scambio che il globo terraqueo si è dato per scambiare beni e servizi. Soldi non ne ha, ma debiti molti, anzi moltissimi. Come quasi tutti d’altronde. Qui nasce il primo problema, che un giorno farà dire a quanti verranno dopo di noi: “quanto erano coglioni a quel tempo!”. Ci sono diversi soggetti disposti a prestarli, ma ad una ed univoca condizione: chi li utilizza deve fare esattamente come dicono loro. Restituirli, in trance certe e regolari e fare le riforme: fare le riforme significa, per i mutuanti, privatizzare qualsiasi cosa, se possibile pure le coccole fra genitori e figli e vincolare, senza tempo, il mutuatario alle condizione dei soldi erogati. Questo facilita, in men che non si dica, l’esproprio coatto di ogni bene collettivo ed individuale: non esiste più un sistema emergenziale di governo, perché l’emergenza è fatta a sistema. Ora, tanto per capirci, Varoufakis dovrebbe far digerire al suo governo e soprattutto alla popolazione la privatizzazione il porto del Pireo, la Dei, azienda pubblica dell’energia elettrica, la rete di trasporto… Ora, tanto per capirci, la Grecia ha appena rimborsato al Fondo Monetario l’equivalente di 485 milioni di dollari, ma deve, se ne vuole altri, ripresentare il pacchetto delle riforme (entro 6 giorni lavorativi dal 9 di Aprile). Ora, tanto per capirci, la Grecia ha liquidità sino al 24 di Aprile (per pagare stipendi, servizi, pensioni…).

Le mosse diversive messe in atto dal governo greco, più che spaventare, irritano ulteriormente i capi-bastone della finanza mondiale: tra una richiesta di risarcimento dei danni di guerra e una gita in Russia sembra che non ci sia alcuna via di uscita plausibile. L’unica soluzione, paventata qualche tempo fa, ovvero quella di andare fuori unilateralmente dall’euro è, paradossalmente, più impraticabile di una rivoluzione anarchica. Non è, infatti, come pensano i canterini leghisti e grillini del nostro bel paese: uscire, dopo esservi entrati, è significativamente diverso dal non esserci mai stati. Il capitale privato è già pronto ad una fuga talmente rapida che il supereroe Flash sarebbe considerato alla pari di una tartaruga annoiata di paese. Piccoli risparmi sarebbero volatilizzati in men che non si dica: un conto è avere 2000 miserandi euro, un altro è avere 200000000000000 di dracme con cui comprare mezzo chilo di pane. Non parliamo poi dei prestiti inesigibili, delle materie prime non comprabili, dell’inflazione che porterebbe la Grecia direttamente a Weimar senza passare dal via. Per chiudere, quindi: il capitale mondiale è ben strutturato e incisivo a livello planetario, sembra. E come se non bastasse sa anche bene quello che vuole. Pensiamo ancora che gli si possa tenere testa con una amministrazione locale? Così, tanto per chiedere.

Pietro Stara

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